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L’A.I. e il destino incerto del diritto d’autore (1 di 2)

(Lunedì 6 maggio 2024) –

La proprietà intellettuale rappresenta, la ricchezza di almeno la metà delle cinquanta persone più ricche del mondo, e si stima che rappresenti il 52% del valore delle esportazioni di merci statunitensi. L’IP (intellectual propetry “proprietà intellettuale”, come la sintetizzano gli americani) è il nuovo petrolio. Le nazioni che ne dispongono in gran parte stanno guadagnando denaro vendendolo a nazioni che ne hanno relativamente poco. È quindi nell’interesse di un Paese proteggere la proprietà intellettuale delle proprie imprese. Ma ogni diritto è anche un divieto. Il mio diritto di proprietà su delle IP, impedisce a chiunque altro di utilizzarne il materiale senza il mio consenso. I diritti delle IP hanno un valore economico ma un costo sociale. È un costo troppo alto?

Di Daniel Caria

Una IP è disponibile in diverse varietà legali: copyright, brevetti, diritti di progettazione, diritti di pubblicità e marchi. Ed è ovunque si guardi. United Parcel Service (UPS) ha un marchio sulla tonalità marrone con cui dipinge i suoi camion per le consegne. Se negli USA una qualche altra azienda dipinge i propri camion per le consegne dello stesso colore, UPS può chiedere a un tribunale di farli ridipingere. Coca Cola possiede i diritti di progettazione della bottiglia di Coca-Cola: stesso accordo. Alcuni modelli di Apple Watch sono stati ritirati dal mercato lo scorso Natale dopo che la Commissione per il Commercio Internazionale degli Stati Uniti ha stabilito che Apple aveva violato i diritti di brevetto di un’azienda di dispositivi medici chiamata Masimo. (Un tribunale successivamente ha sospeso il divieto.)

Bob Dylan, Neil Young, e Stevie Nicks sono tra i numerosi artisti che hanno recentemente venduto i diritti su alcune o tutte le loro canzoni. Praticamente ogni canzone che Bruce Springsteen abbia mai scritto è ora di proprietà della Sony, che si dice abbia pagato cinquecentocinquanta milioni di dollari per il catalogo. Poiché l’orologio del diritto d’autore non inizia a ticchettare fino alla morte del creatore, Sony potrebbe possedere tali diritti oltre la fine del secolo. Più a lungo vive il Boss, più ricca diventa Sony.

David Bellos e Alexandre Montagu utilizzano la storia del grande acquisto di Springsteen da parte della Sony per avviare il loro, supponente e ultra attuale, Who Owns This Sentence? Disponibile in edizione inglese su Amazon.it

 I diritti su una grande quantità di materiale creato – musica, film, libri, arte, giochi, software per computer, articoli accademici, praticamente qualsiasi prodotto culturale che le persone pagheranno per consumare – sono sempre più di proprietà di un piccolo numero di grandi aziende e non sono in scadenza da molto tempo.

E allora? C’è poco pericolo che la Sony tenga sottochiave le canzoni di Bruce Springsteen. Al contrario, è probabile che, da qui al 2100 circa, sarà impossibile sfuggire al suono della voce di Springsteen, perché Sony deve trovare molti modi per recuperare il suo investimento. La Sony non trae alcun vantaggio dal restare nella sua proprietà, e la diffusione della musica non costa quasi nulla. L’azienda ha solo bisogno di qualcuno che depositi gli assegni.

Sony raccoglierà molti di questi assegni tramite le tariffe di abbonamento e di download che paghiamo ai nostri servizi di streaming musicale. Considerando la quantità di musica a cui questi servizi ci danno accesso, una vita di Springsteen ci costa pochi centesimi. Ma ci sono circa 616 milioni di abbonati ai servizi di streaming musicale – il numero è più che raddoppiato negli ultimi quattro anni, motivo per cui tutte queste vendite di cataloghi avvengono ora – quindi i conti sembrano buoni per Sony.

Ci sono altri flussi di entrate redditizie. Le case automobilistiche hanno cercato di acquistare una licenza per utilizzare “Born to Run” nei loro spot pubblicitari fin da quando la canzone è stata pubblicata, nel 1975. A meno che Springsteen, che finora ha ampiamente evitato sponsorizzazioni, non abbia posto delle condizioni alla vendita, sarà possibile acquisire la licenza se solo Sony fosse interessata a collaborare, e probabilmente il momento è arrivato.

Bellos, professore di letteratura comparata a Princeton, e Montagu, un avvocato specializzato in proprietà intellettuale, trovano discutibile questo tipo di ricerca di rendita. Si lamentano del fatto che i titolari dei diritti d’autore aziendali “si esibiscono sulla scena mondiale come i nuovi baroni del ventunesimo secolo” e chiamano il diritto d’autore “la più grande macchina da soldi che il mondo abbia mai visto”.

Sottolineano che, in un momento in cui la proprietà aziendale dei diritti d’autore è in forte espansione, il reddito degli autori, a parte alcune superstar, è in calo. Pensano che le I.P. non abbia un insieme di norme che tutelano i diritti individuali, quanto piuttosto uno strumento normativo per le imprese alle loro spalle.

Ma ciò di cui Bellos e Montagu puntano il dito non è il fatto che aziende come Sony stanno succhiando ingenti somme per il diritto di far riprodurre musica che non hanno creato, o che l’ascoltare finale debba pagare per poterlo fare. Quello si è sempre dovuto fare, dopotutto. Il problema, per come lo vedono loro, è che il controllo aziendale del capitale culturale derubi i beni comuni.

Approfondendo in maniera semplicistica, quando Bruce Springsteen pubblica una canzone o Stephen King pubblica un libro, appartiene a tutto il mondo. Composizioni musicali, poesie, opere d’arte, libri, TikTok: ogni tipo di prodotto culturale è un bene pubblico alla quale noi attingiamo per piacere, edificazione, ispirazione e motivazione, e talvolta per un simulacro scadente di un insieme di questi. Grazie alla rivoluzione digitale, una quantità maggiore di questi beni è disponibile per un numero maggiore di persone a un costo inferiore che mai, e possiamo fare quasi tutto ciò che vogliamo con questo materiale. Possiamo ascoltare canzoni o leggere tutte le volte che vogliamo, e possono stimolarci a creare canzoni e racconti nostri. Ciò che non possiamo fare, per un periodo di tempo limitato, è mettere sul mercato copie di quelli che a livello economico sono effettivi prodotti.

Tale periodo è fissato dal Congresso, in base al potere enumerato nell’Articolo I della Costituzione Americana: “Promuovere il progresso della scienza e delle arti utili, garantendo per tempi limitati ad autori e inventori il diritto esclusivo ai loro rispettivi scritti e scoperte”. La prima legge federale sul diritto d’autore, approvata nel 1790, fissa la durata del diritto d’autore a quattordici anni dalla data in cui un’opera veniva presentata per la registrazione, rinnovabile per altri quattordici anni.

Attualmente non è più necessario registrare un’opera per detenerne il diritto d’autore. E la durata di tale copyright è stata estesa più volte. Dal 1978 sono trascorsi settant’anni dalla morte dell’ideatore. Per gli “autori aziendali” – cioè le aziende che pagano i dipendenti per lavori su commissione – sono ormai trascorsi novantacinque anni dalla data di pubblicazione o centoventi anni dalla data di creazione, qualunque sia il più breve. 

Topolino, “pubblicato” per la prima volta nel 1928, è diventato di dominio pubblico all’inizio di quest’anno, ma solo nella sua forma del 1928. I Topolino aggiornati sono ancora protetti. In breve, quando un’opera creata oggi diventerà di pubblico dominio, la maggior parte di noi non la vedrà mai. 

Per le persone comuni, per che è fuori da questi sistemi quindi, i diritti sulle proprie creazioni non valgono molti soldi tranne che per noi stessi. Ma, se a farlo è la persona che ha scritto “Born to Run”, è prudente assegnare i propri diritti a un ente che può pagarti mentre sei in vita una parte considerevole di ciò che le tue canzoni varranno molto tempo dopo che non lo sarai più. Bellos e Montagu sostengono che la legge sul copyright, originariamente promulgata in Gran Bretagna nel diciottesimo secolo per proteggere gli editori (e, in una certa misura anche gli scrittori) dai pirati, si è evoluta in una protezione per i colossi aziendali di portata mondiale. La legge oggi tratta le aziende come “autori” e classifica cose come il codice sorgente del software come “opere letterarie”, garantendo al software un periodo di protezione molto più lungo di quello che avrebbe se fosse classificato solo come invenzione e idoneo a essere brevettato. (ormai valido da vent’anni, con qualche eccezione).

Bellos e Montagu concordano con molti critici della legge contemporanea sul copyright nel ritenere che l’attuale termine di copyright sia controindicativo. Spesso si rinchiude a tempo indeterminato cose i cui diritti sono posseduti da qualcuno, che sia un erede, un patrimonio, qualche azienda che li ha acquistati insieme ad altri beni in un pacchetto, ma nessuno sa chi. Per paura dei tribunali, quel materiale rimane in un caveau. Molti filmati rientrano in questa categoria, così come innumerevoli libri fuori catalogo e musica che non può più essere acquistata in nessun formato (la maggior parte dell’etichetta discografica Motown, ad esempio). Non esiste una disposizione “usalo o perdilo” nella legge sul copyright.

Anche gli eredi titolari dei diritti possono esercitare un certo controllo. La famiglia di Martin Luther King Jr., insieme alla EMI Music Publishing, possiede i diritti sulle registrazioni cinematografiche e audio del discorso “I Have a Dream”. Nel 1996, la famiglia King fece causa alla CBS per aver utilizzato parti del discorso senza permesso, anche se era stata la stessa CBS a realizzare il film per il quale gli eredi di King chiedevano un canone di licenza. “Ha a che fare con il principio secondo cui se tu guadagni un dollaro, io dovrei guadagnare un centesimo”, questa è la spiegazione di Dexter, figlio dell’attivista. Un verdetto iniziale per la CBS fu annullato in appello, e i King accettarono un pagamento in contanti (che evidentemente prese la forma di un contributo al King Center for Nonviolent Social Change, e quindi deducibile dalle tasse). La CBS può premetterselo, la persona comune invece no.

Bellos e Montagu prendono ad esempio, la storia di un regista di documentari che girò una scena in cui un gruppo di lavoratori sono seduti a giocare a un gioco da tavolo con la televisione accesa sullo sfondo. La TV stava trasmettendo “I Simpson” e il regista ha chiesto il permesso di utilizzare i quattro secondi dell’episodio visibili nella ripresa. Lo studio voleva 10.000 dollari.

Una causa da non-prima pagina, divenuta però particolarmente nota, è stata il caso “Dancing Baby”. La questione riguardava un video YouTube di 29 secondi girato da una mamma, in cui il suo bambino di tredici mesi ballava su una canzone di Prince, udibile in modo chiaro per circa venti secondi. Nel 2007, l’etichetta di Prince ha denunciato una violazione del copyright costringendo YouTube a rimuovere il video. Il caso è finito in tribunale. La madre del bambino, Stephanie Lenz, strappa una causa a suo favore, ma il tutto durò un decennio. E lo stesso motivo per cui un autore che voglia riprodurre una fotografia in un libro, se questa include un dipinto sullo sfondo, anche solo un frammento, farebbe bene a ottenere il permesso non solo dal detentore dei diritti della fotografia ma anche da quello del dipinto.

Quel che rende tutto ciò incongruente è che la maggior parte delle fotografie che si vedono nei libri si trovano sul Web, dove possono essere visualizzate gratuitamente da miliardi di persone. Ma gli autori devono pagare un compenso, spesso centinaia di dollari per una singola immagine, per riprodurla in un’opera che verrà letta, con un po’ di fortuna, da dieci o ventimila persone. Il principale cercatore di rendita qui è Getty Images, che, dopo aver acquistato la maggior parte dei suoi rivali, ora controlla più di 477 milioni di “risorse” – immagini stock, fotografie editoriali, video e musica – e vale cinque miliardi di dollari. Probabilmente se voleste ristampare una fotografia di cronaca, Getty ne possiede i diritti.

La maggior parte delle controversie sul copyright, come la causa di Lenz, coinvolgono un termine che è sfuggito a una precisa definizione giudiziaria: fair use. Il fair use, è il punto in cui entrano in gioco i beni comuni. 

Come sottolineano ripetutamente Bellos e Montagu, tutte le nuove creazioni derivano da creazioni esistenti. Nella nostra testa quando scriviamo una poesia o giriamo un film ci sono tutte le poesie che abbiamo letto o i film che abbiamo visto. I filosofi si basano sul lavoro dei filosofi precedenti; gli storici si affidano ad altri storici. Lo stesso principio vale per video di TikTok.

La terra di nessuno tra “prestito accettabile” e “furto sanzionabile” è quindi il luogo in cui si combattono la maggior parte delle guerre sul copyright. Una cosa che rende legale il prestito è la constatazione che l’uso del materiale originale è “trasformativo”, ma quel termine non appare in nessuna legge. È uno standard stabilito da un giudice e chiaramente soggettivo. Il contenzioso sul fair use può far girare la testa, non solo perché le accuse di violazione spesso sembrano inverosimili (dov’è esattamente il danno per il titolare dei diritti?) perché i risultati sono imprevedibili. E l’imprevedibilità è dannosa per gli affari.

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Last modified: Maggio 6, 2024
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